domenica 4 maggio 2014

Cristo tra i muratori - Pietro Di Donato

Cristo tra i muratori
Di Donato era figlio di immigrati abruzzesi, e parte della sua esperienza personale è trasposta nel libro “Cristo tra i muratori”: suo padre morì nel cantiere, e lo stesso scrittore divenne muratore, così come Paolino, il ragazzino protagonista del romanzo. 
Paolino a 12 anni deve sostituirsi a suo padre, con le difficoltà connesse alla giovane età ( i muscoli, eh, i muscoli e le braccia hanno da essere forti per costruire muri) e inizia a lavorare, in un ambiente straniero e ostile, per sostenere la famiglia. 
(La famigghia, di quelle senza ombre e senza macchie: quercia e catena)
E’ un libro del 1937, pubblicato in Italia nel 1959. 
Uno spaccato della condizione degli immigrati, costretti prima alla fatica di trovare il lavoro e poi a quella di mantenerlo, fino a che morte non li separi. 
E’ il racconto di fame, fatica, angoscia, solidarietà e affetti, di feste rare e smargiasse; il racconto di una vita ridotta alla pura e semplice speranza, una speranza che è al di là dell’oggi, che s’affida alle parole delle fattucchiere e delle preghiere.

La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli. » 
E’ stato il mio pensiero ricorrente.]

Pietro Di Donato conosceva il job. 
Onde d’ambra incandescente galleggiavano sul cantiere, l’acciaio sudava minio, il palco sapeva di cenere di pineta, il mattone si fendeva in lamette rosse di argilla bruciata, nel secchio di cemento la sabbia vergine e la calce viva disegnavano brulicami grigi, e gli uomini odoravano di carni abbrustolite.” 

Il cantiere è vivo e assicura la vita, la sopravvivenza. 
E’ un mostro che si addomestica. 
Il rischio però che ingoi e maciulli è sempre presente. 
Ma la colpa, di chi è la colpa? 

Quella notte passò nell’incertezza, nella sensazione che, per qualche oscuro motivo, la famiglia di Geremia fosse dalla parte del torto, e che dalla parte del torto fossero le umili facce spaurite nei corridoi dell’Istituto Liquidazione Infortuni, e tutti coloro che vivevano alla giornata negli appartamenti sopra il loro, tutti gli uomini che sudano bestemmiano e muoiono sul lavoro; volgari e immorali tutti, di peso alla carità pubblica, impotenti di fronte al trionfante potere della legge. 
E Paolino stringeva disperatamente il cuscino. 
O Dio che sei nei Cieli, in che mondo e in che paese siamo? Abbiamo mai pensato di far male? Qual è la nostra colpa? 
Verso l’alba, Nunziatina si addormentò sulla stessa domanda: qual è la nostra colpa? 
Nati nel peccato, rispondevano i muri e il buio e l’aria e la paura.

Allora come ora, purtroppo, ancora accade.

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