venerdì 25 maggio 2012

Tutta colpa dell'angelo


Quanto sono opinabili certe etichette, pensavo. 
Un libro “da spiaggia” o da “ombrellone”, ad esempio (sotto l’ombrellone mi sono sparata I fratelli Karamazov). 
Però ci provo a etichettarlo questo libro di Moore. 
Libro da stress. 
“Tutta colpa dell’angelo” è un libro da stress, funzionale e terapeutico quando si è stravolti per la fatica mentale da superlavoro, per la noia da routine logorante accumulata fin dentro i cuscinetti adiposi- o, per i più fortunati, nel midollo osseo -, quando si è sopraffatti dal rigurgito acido verso il buonismo e il politically correct.
Ecco, quando così si sta (o quando si è reduci dalla lettura di “Canto di Natale” riportando alterazioni abnormi della glicemia), forse è il momento buono per dedicarsi alla lettura da stress nonchè di invasione: invasione di personaggi bislacchi e sfigati, dall’angelo a vocazione sterminatrice al pipistrello parlante con gli occhiali da sole, dall’agente di polizia fatto e allampanato al biologo sessuofobico, dalla pazza furiosa ex attrice di b-movie guerreschi al suo “narratore”, dallo sciupafemmine cuore infranto all’acidissimo babbo natale morto e risorto, includendo in modo non periferico una schiera di comparse non morte, morti viventi, che al grido di cervello, cervello!!, mhhh, slurp, gnammm, mettono in serio, serissimo pericolo il Natale a Pine Cove, California.
Naturalmente, gli animi sensibili e tormentati, e quelli schizzinosi e schifiltosi, poco inclini al cazzeggio anche in tempo di pace, faranno bene a starsene alla larga. 
Se non dovesse piacere a qualche poco accorto lettore, “poi non date la colpa a me. Io vi ho avvisato” (cit.)



giovedì 24 maggio 2012

Quelli dalle labbra bianche



Quelli dalle  labbra bianche  ce le hanno così per la fame e il freddo.
Sono  i poveri, i “mammutones”, i vinti.
Quelli destinati a curvarsi per fare le cavalline, mentre i ricchi saltano e non si curvano mai.

E’ Daniele Mele, il campanaro, l’unico sopravvissuto, davanti al catafalco dove dopo venti anni  ardono le nove candele in memoria dei compaesani mandati a morire sul fronte russo nel nome della patria ,  a raccontare la guerra, la prigionia, la morte, ma anche il legame tenacissimo con la propria terra, quando “in mattini incredibilmente chiari, le due squadre di ragazzi, i ricchi e i poveri, del tutto immemori di essere nemici (…) ci avventuravamo lontano”, tra i fichidindia rossi, i prati di asfodeli e ferule, le tanche di mirto e lentischio, le querce e i campi di granturco, nei  luoghi dove “era la nostra festa, il nostro paradiso”.

Eppure, il racconto della tragedia si tinge di quell’irresistibile capacità popolare di trasformare in farsa il dramma, di alleggerire la terribilità degli eventi attraverso il grottesco.
“Ci calammo anche noi dentro la fossa. Sembravamo cinque pecore rognose cadute in un fosso. Eravamo entrati a campare la vita dove stava la morte.”
Si legge, il libro di quelli dalle labbra bianche, con gli occhi tremuli, il cuore gonfio e una sorta di amaro sorriso.
E  mi chiedo perché, libri così, debbano essere così poco conosciuti.

Dunque. 

Scaricatavillo.

http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&s=17&v=9&c=4463&id=737